ExDairyPRESS incontra Dr. Paolo Longhini

Un veterinario e la sua passione per la professione: perché il mondo zootecnico sia conosciuto al di fuori del settore.

Abbiamo deciso di incontrare il dottor Paolo Longhini perché di lui ci ha colpito il fatto che alla viscerale passione per il settore unisce un incredibile desiderio di comunicare il suo lavoro e la sua scelta di vita a tutti, in particolare a bambini e ragazzi, ai quali si è dedicato in questi anni tenendo lezioni nelle scuole elementari, medie e superiori, e da poco coltivando anche l’idea di cominciare a scrivere fiabe e brevi racconti che fanno riferimento alle sue esperienze di vita e di lavoro quotidiane.

Lo aspettiamo in una trattoria ai piedi dell’Altopiano di Asiago perché il dottor Paolo, classe ‘68, laureato a Bologna, una vita spesa nello svolgere la sua professione con passione e dedizione, non “scende” volentieri dalle zone dove vive e lavora.


Paolo (come collega mi sento di darti del tu): tu ed io facciamo parte di un settore che da quando hai iniziato a esercitare la professione è molto cambiato, nel bene e nel male… Sei ancora capace di appassionarti a quello che fai?

Il volto del nostro settore, anche in un piccolo osservatorio come Asiago, sta davvero cambiando molto: negli ultimi 30 anni in Altopiano sono scomparsi più della metà dei Codici Aziendali presenti, a fronte comunque di un numero di capi bovini totali che non è calato, anzi, forse è in leggero aumento (scompaiono le stalle di piccole dimensioni, mentre quelle medio-grandi aggiungono altri capi alle loro mandrie), a differenza della Pedemontana che ha perso il 60% del suo patrimonio bovino mettendo in crisi le cooperative di raccolta e trasformazione che stanno continuamente perdendo conferenti, a causa di stalle che chiudono.

Questo fatto ha sicuramente almeno due effetti, che riconosco quotidianamente e su cui rifletto molto: il primo è la trasformazione del territorio, il secondo la conseguente evoluzione della gestione delle stalle da latte.

Cosa intendi per trasformazione del territorio?

Un esempio potrebbe essere quello che mi è successo un paio di settimane fa: ero da un cliente nella bella Valpiana (in Comune di Foza) e all’ingresso di casa ho notato appesa alla parete una grande e bellissima fotografia scattata 20 anni fa della Valle vista dall’alto. Si può vedere un meraviglioso e rigoglioso giardino, che io ricordo perfettamente dai primi anni che andavo in quella azienda.

Oggi, in Valpiana, vacche non ce ne sono quasi più, e la valle, stagione dopo stagione, sta diventando un’incolta boscaglia, non un bosco ben curato come quello che ancora si può vedere nelle zone in cui le vacche e gli allevatori sono presenti… perché dove ci sono le vacche e ci sono i malghesi il territorio viene preservato, curato e l’ecosistema viene mantenuto in equilibrio.

Perché è la terra l’alfa e l’omega del lavoro dell’allevatore, che non lavora solo in funzione del proprio reddito, ma per garantire la stabilità e la cura del territorio: questo non solo evita i disastri ambientali, ma preserva la vita e la naturale bellezza del territorio.

Pensi che il consumatore medio sia inconsapevole di ciò?

Non lo penso, ne sono assolutamente certo! L’opinione pubblica e i consumatori sono tanto impegnati a salvare i lupi, quanto poco lo sono a rispettare, proteggere e salvaguardare gli allevatori e il loro bestiame. Ma di questo me ne assumo in parte la colpa, come categoria, intendo. Per anni, a noi veterinari e zootecnici è bastato rimanere relegati nel nostro bellissimo e fondamentale ruolo, consapevoli della sua importanza per tutti, ma poco disposti all’idea di doverlo spiegare, raccontare, comunicare al di fuori del nostro settore. Non ci interessava e non ci serviva!

Ci siamo limitati a fare bene il nostro lavoro, a raggiungere l’eccellenza, ma nella totale noncuranza e ignoranza dell’opinione pubblica. Oggi, tutto questo non basta più. È essenziale, per la nostra stessa sopravvivenza, che l’intera filiera impari a parlare di sé, rendendo noto e comprensibile il come e il perché del nostro lavoro anche a chi non è del settore. Prendiamo per esempio l’assoluto rigore nella gestione dei farmaci, che ai veterinari richiede tantissimo tempo, fatica e soprattutto un’immensa responsabilità, non ha nulla da invidiare (oserei dire, anzi!!!) alla gestione dei farmaci in medicina umana.

Il ruolo fondamentale che il veterinario ha di essere garante della salute pubblica è poco noto in generale… la maggior parte dei giovani che oggi scelgono veterinaria preferiscono prendersi cura dei piccoli animali… una scelta che viene privilegiata, forse, perché non si conoscono le altre possibilità della nostra professione, forse perchè non sono disposti a compiere quei sacrifici che un veterinario di campo che si occupa di vacche deve saper affrontare giornalmente, anche nei giorni in cui tutti fanno festa.

Purtroppo, poi, il ruolo del buiatra non viene valorizzato a livello di opinione pubblica, che percepisce come qualcosa di negativo l’allevamento nel suo insieme.

Hai accennato anche all’evoluzione nella gestione del patrimonio zootecnico…

Sì, ecco l’altro punto di questa trasformazione di cui siamo parte: io non abito la realtà zootecnica della pianura, quindi su quella non posso esprimermi troppo, ma per quanto riguarda le mie montagne, anche lì in questi anni la figura del gestore aziendale ha subito una profonda evoluzione.

L’allevatore è stato costretto dall’andamento storico a diventare un piccolo imprenditore e, per sopravvivere, è spinto a raggiungere l’eccellenza nella gestione dei suoi animali, così come nella conduzione della sua azienda e nella valorizzazione della sua filiera di trasformazione.

Per Asiago, questo è della massima importanza, poiché in Altopiano viene trasformata praticamente tutta la produzione.

Di noi veterinari l’opinione pubblica e i consumatori parlano sempre assai poco, forse ignorando che il lavoro quotidiano che facciamo ha lo scopo di garantire proprio a loro la sanità del prodotto, l’assoluta certezza che il prodotto che hanno sulla tavola sia sicuro da tutti i punti di vista.

In questi anni, ci sono state campagne mediatiche a difesa dell’autenticità e della salubrità di prodotti esteri, ma quelle a favore dei prodotti italiani sono state davvero poche! Per fortuna, negli ultimi anni mi pare che alcune piccole e grandi realtà produttive e di trasformazione sembrano avere orientato in tal senso la loro comunicazione… affinché il consumatore venga sempre più educato a chiedersi da dove viene il prodotto che si ritrova nel piatto.

Però, va anche detto che la comunicazione deve farla chi è capace, e se la nostra categoria non ne è capace, è giusto che abbia l’umiltà di cercare di impararla o di affidarla ad altri, come molti stanno facendo. In Italia, coesistono in un unico settore realtà diverse come l’“allevamento di pianura” o intensivo” e l’“allevamento di montagna”, che però condividono gli stessi principi di eccellenza, salubrità, ed oggi anche di sostenibilità, e questo bisogna imparare a comunicarlo a gran voce.

Ritieni che iniziare a educare i bambini e i ragazzi alla vera realtà zootecnica sia un passo importante in tal senso?

Credo che far conoscere ai giovani la dimensione della nostra realtà, non in modo teorico, ma in modo pratico, sia assolutamente una priorità per noi. I giovani di oggi sono più consapevoli di cosa significhi rispetto del pianeta, sicurezza alimentare e salvaguardia degli ecosistemi, ma spesso la loro è una conoscenza che arriva solo da fonti  mediatiche e difficilmente viene da una reale esperienza. Eppure, l’esperienza diretta è l’unico modo per conoscere davvero questo mondo.

Quante persone si innamorano delle vacche solo dopo averle toccate, aver sentito il loro odore, il loro contatto, e averne compreso il linguaggio. Nell’immaginario collettivo, sono animali che sembrano “semplici” e quasi “poco intelligenti”, invece noi ben sappiamo di che sfaccettature caratteriali e sensibilità sono capaci!

Anche per questo mi piace l’idea di scrivere storie per bambini che raccontano del mio lavoro… perché nelle vicende quotidiane, spesso quasi avventurose, di un veterinario di montagna c’è sempre in primo piano il rapporto con gli animali e poi quello con i loro proprietari, che spesso diventa familiare e si trasforma in un complice rispetto.

Forse qui sulle montagne è più semplice mantenere un tale rapporto con i propri clienti, ma credo che anche in pianura le stalle che “vanno veramente bene” siano quelle in cui chi le gestisce ha un rapporto di stima, rispetto e complicità con i propri consulenti aziendali. Si pensa talvolta che instaurare un rapporto con i propri clienti sia poco professionale, ma nel nostro settore vale l’esatto opposto!

Nelle nostre stalle di montagna si fanno a volte scelte anti-economiche, perché la passione per gli animali conta più dei soldi (è dura convincere un allevatore a riformare una vacca!), mentre forse in pianura il concetto di animale “da reddito”, è più chiaro…

Comunque, in fondo in fondo sono certo che i migliori allevatori siano tutti uguali sia in pianura sia in montagna, e mi sembra che ExDairyPRESS ne abbia incontrati parecchi di questa stoffa! Tornando ai bambini, mi è capitato di far mungere una vacca da un piccolo e assistere al suo stupore quando ha sentito che il latte che usciva dalla mammella non era freddo come quello della bottiglia nel frigorifero, ma era caldo!

Questo è un esempio per dire che i racconti possono fare qualcosa, i servizi in tv qualcos’altro in più, i social qualcosa in più ancora… ma poi questi bambini, questi futuri adulti e consumatori, bisogna portarli in stalla, nelle nostre stalle!!!

Per mostrar loro come lavoriamo veramente… far vedere al pubblico una realtà zootecnica “pre-confezionata” o “in vetrina” non basta, può essere persino fuorviante. Insomma, io credo che la comunicazione della nostra realtà oggi sia diventata un’urgenza. 

Indirettamente stai rispondendo alla prima domanda… è ancora la passione che oggi ti muove a fare bene il tuo lavoro!

Certamente, sì! Più si fa questo lavoro bene, e più appassiona… e soprattutto fa ulteriormente riflettere su quanto possiamo guadagnare dal legame che abbiamo con gli animali e con la terra. Innanzi tutto, da questo legame scaturiscono tante tradizioni che rendono unica la nostra cultura ma che non dobbiamo assolutamente lasciar scomparire… penso, per esempio, all’importanza che ad Asiago ha “la Grande Rogazione”, una tradizione centenaria nata dal desiderio del popolo di ringraziare per essere sopravvissuti alla Peste del 1600 (la famosa Peste del Manzoni) e che ancora oggi anche i ragazzi attendono con impazienza e trepidazione dopo che fin da piccoli con noi genitori hanno imparato a conoscere ed apprezzare.

Penso ancora alla grande e radicata tradizione della trasformazione del latte in vari tipi di formaggio che le malghe propongono e custodiscono da centinaia di anni, portando avanti le conoscenze e i piccoli segreti del casaro che si tramandano di generazione in generazione senza nulla di scritto o predefinito. Una volta c’era più tempo per riflettere sulle cose e nascevano tradizioni che poi si conservavano, oggi c’è meno tempo per tutto. Abbiamo troppa fretta di fare e avere tutto e subito, e non siamo più abituati nemmeno a desiderare.

Tuttavia, il cuore delle persone è fatto di desideri e, anche se sembra stato messo a tacere, il desiderio di una cultura capace di dare risposte con i propri valori non può che riaffiorare sempre. E non dobbiamo mai dimenticarci che di questa cultura e di queste tradizioni noi siamo i custodi. 


Parlare con Paolo ci ha fatto riflettere su come l’amore per le tradizioni unito alla consapevolezza della ineluttabilità del nuovo non sia sempre facile da accettare e da gestire.

Ma sono una serenità ed una consapevolezza che si possono conquistare, magari con la dedizione e la fatica di un lavoro forse a troppi ancora estraneo, ma che dà grandi soddisfazioni a chi vi si dedica quotidianamente con passione!

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